Danni da piogge intense e responsabilità del Comune: non necessariamente si tratta di caso fortuito

In considerazione del fatto che le pioggie di eccezionale intensità sono ormai diventate sempre più frequenti e tutt’altro che imprevedibili sul territorio italiano, le stesse non possono considerarsi a priori un evento straordinario ed imprevedibile tale da escludere necessariamente una responsabilità del Comune, anche solo parziale, in caso di danni occorsi a terzi.

In merito agli obblighi di manutenzione gravanti sulla Pubblica Amministrazione a tutela dell’incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, la stessa deve infatti osservare, oltre alle specifiche normative in essere, anche le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che dalla loro inosservanza deriverà una responsabilità per gli eventuali danni arrecati ai terzi.

In tale quadro, afferma la Corte di Cassazione (sent. n. 5877/16), ogni valutazione sulla prevedibilità di un evento atmosferico e sui danni dallo stesso ipoteticamente causabili impone, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano ormai da tempo il Paese, criteri di accertamento in punto responsabilità improntati ad un maggior rigore.

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Ghiaccio sulla strada e danni da cadute: nessun risarcimento da parte del Comune in emergenza meteo

Responsabilità esclusivamente in capo al dannaggiato, che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione alle condizioni della strada ed evitare conseguentemente la caduta, se lo stato di emergenza meteo rendeva impensabile per il Comune liberare interamente il territorio urbano da ghiaccio e neve.

La Corte di Cassazione (sent. n. 5622/16) ha così ribadito i principi elaborati in relazione alla responsabilità degli enti locali per i danni causati dai beni del patrimonio demaniale: responsabilità che non sussiste in caso di impossibilità, valutata nel caso concreto, di esercitare la custodia sugli stessi (nel caso di specie, l’impossibilità era determinata dall’eccezionalità degli eventi atmosferici, con conseguente impossibilità per l’ente di intervenire capillarmente sul territorio); responsabilità che non sussiste nemmeno qualora il danneggiato non abbia osservato la necessaria diligenza data dal caso specifico (qui la situazione climatica eccezionale, che comportava un necessario dovere di attenzione alle lastre di ghiaccio presenti sul manto stradale).

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Grafico del giornale: la sua attività ha natura giornalistica

L’attività svolta dal grafico esprime un personale contributo di pensiero ed una valutazione sulla rilevanza della notizia, pur in presenza delle scelte e delle indicazioni degli autori degli articoli e del direttore.

Così la Corte di Cassazione (sez. Lavoro, sent. n. 5456/16) che ha ribadito la natura giornalistica dell’attività del grafico, la quale si estrinseca nella progettazione e nella realizzazione della pagina di giornale, come la collocazione del singolo pezzo giornalistico e la scelta delle immagini e dei caratteri topografici con i quali lo stesso viene riportato sulla pagina.

Per la Corte costituisce attività giornalistica qualsiasi forma di manifestazione del pensiero con finalità di informazione, sia che essa si esprima mediante la scrittura, la parola o l’immagine, sia che essa si esprima nella elaborazione di un segno grafico, ben potendo quest’ultimo, nel sottolineare la rilevanza o la preminenza della notizia, incidere, per un verso sulla qualità e sul valore della comunicazione e, per altro, concorrere a quella rappresentazione complessiva della realtà che è il risultato ultimo dell’attività informativa.

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Limitatezza tecnica della strumentazione: nessuna colpa in capo a struttura sanitaria e medici

La struttura sanitaria ha l’obbligo, in base al contratto di spedalità, di mettere a disposizione non solo il personale sanitario ma anche le necessarie attrezzature tecniche idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza eventualmente risponde.

Solo nel caso in cui la struttura non disponga di strumentazione adeguata scatta l’obbligo, sia da parte della struttura sanitaria che del medico, di informare il paziente di poter ricorrere a centri con più elevata specializzazione.

La Corte di Cassazione (sent. n. 4540/16) ha così escluso la responsabilità della struttura sanitaria, e dei medici per omessa informazione, qualora i macchinari tecnici all’epoca del fatto lesivo fossero adeguati, seppur non in grado di fornire certezze diagnostiche a causa di una intrinseca limitatezza tecnica.

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Professore di educazione fisica colpito da pallonata: nessun risarcimento se c’è nesso tra gioco e atto lesivo

La Corte di Cassazione (sent. 1322/2016), chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di una professoressa di educazione fisica colpita violentemente al volto da un pallone calciato da un alunno durante una partita di pallavolo diretta nel medesimo luogo da altro insegnante di educazione fisica, si è pronunciata nel senso che nessuna responsabilità oggettiva è configurabile in capo a studenti o professori e, conseguentemente, un danno è risarcibile solo nel caso in cui lo stesso sia conseguenza del fatto illecito di uno studente, o quando l’istituto scolastico non abbia osservato obblighi di vigilanza e controllo, non adottando misure preventive idonee ad evitare il fatto.

Soffermandosi sulla valutazione dell’illiceità del fatto, la Corte, in considerazione del fatto che l’azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva, svolta durante l’ora di educazione fisica, ha ritenuto di dover fare riferimento ai principi elaborati in tema di responsabilità per i danni causati da un atleta ad altro atleta impegnato nel corso di una gara sportiva, seppur connotata nel caso di specie da prevalenti aspetti ginnici: il criterio per distinguere tra comportamento lecito e quello punibile è individuato nel nesso tra il gioco ed evento lesivo, con conseguente insussistenza di responsabilità se le lesioni sono la conseguenza di un atto posto senza la volontà di ledere e se, pur in presenza di violazione delle regole di gioco (come nel caso di specie, in cui il pallone veniva calciato con i piedi, presumibilmente per rimettere la palla in campo), l’atto a questo è funzionalmente connesso.

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Consenso informato: responsabile il medico in caso di informativa incompleta al paziente

Il medico, prima di un intervento, è obbligato a fornire un’informazione completa ed esaustiva al paziente, comprensiva di tutte le caratteristiche dell’intervento e dei possibili rischi.

La Corte di Cassazione (sent. 2177/2016) ribadisce che il consenso all’intervento deve essere personale, specifico e esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto; deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere informato, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, ciò implicando la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative. La qualità del paziente non rileva ai fini della completezza ed effettività del consenso, bensì sulle modalità con cui è veicolata l’informazione, ossia nel suo dispiegarsi in modo adeguato al livello culturale del paziente stesso, in forza di una comunicazione che adotti un linguaggio a lui comprensibile in ragione dello stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.

Nel caso in esame, la paziente lamentava di non essere stata adeguatamente informata dal medico sulla natura e i rischi di un intervento agli occhi (effettuato per eliminare una miopia), a seguito del quale insorgevano notevoli complicanze (peggioramento delle capacità visive che in breve tempo la portava ad avere un residuo visivo di 2/10 in occhio destro e 3/10 in occhio residuo e invalidità permanente al 60%). Il depliant informativo consegnato alla paziente non poteva considerarsi sufficientemente completo e dettagliato, essendovi indicate solo alcune  complicanze, peraltro come transitorie, e tacendo su ulteriori effetti che potevano determinarsi, come quello verificatosi.

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Scoperta archeologica durante lavori pubblici: ente pubblico responsabile per il protrarsi illimitato della sospensione lavori

In caso di sospensione di lavori pubblici da parte dell’appaltante per la scoperta di reperti archeologici, il protrarsi illimitato della sospensione è irragionevole, nonché contrario ai principi di correttezza e buona fede e, conseguentemente, l’appaltatore potrà chiedere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’ingiustificata sospensione (la quale è funzionale alla sistemazione fisica dei beni rinvenuti, che deve avvenire nel più breve tempo possibile per consentire la ripresa dei lavori).

La Corte di Cssazione ha altresì specificato (sent. 2316/2016) che, al fine di ottenere il risarcimento, l’appaltatore dovrà formulare la riserva di risarcimento nel verbale di ripresa dei lavori, o in un qualsiasi atto successivo al verbale che dispone la sospensione delle opere, quando questa, legittima inizialmente, sia divenuta illegittima per la sua eccessiva protrazione, con il conseguente collegamento del danno a tale illegittimo protrarsi, poiché, in siffatta ipotesi, la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all’appaltatore è accertabile solo al momento della ripresa dei lavori.

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Polizze assicurative: le clausole ambigue vanno interpretate a favore dell’assicurato

In caso di clausole ambigue all’interno di un contratto di assicurazione, qualora l’ambiguità, o la poca chiarezza, non sia superabile mediante i criteri ermeneutici previsti dalla legge, le stesse devono essere interpretate in senso sfavorevole alla parte che le ha predisposte (art. 1370 c.c.), ovvero a favore del contraente (l’assicurato) che aderisce a schemi negoziali unilateralmente predisposti da altri.
Lo scopo della norma è quindi quello di evitare che chi predispone il contratto, con un comportamento contrario al principio di buona fede, possa avvantaggiarsi dell’ambiguità di clausole unilateralmente redatte.

Così la Corte di Cassazione (sent. 668/2016), che nel caso di specie si è occupata della clausola che definiva il rischio assicurato come “lo scoppio causato da eccesso di pressione”.

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Carenze nella sicurezza del luogo di lavoro: risarcimento per i lavoratori anche in caso di rapina

L’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo (art. 2087 c.c.) di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori può essere riconosciuto anche in caso di attività criminosa dei terzi qualora essa sia prevedibile in ragione dell’attività esercitata.

Così la Corte di Cassazione (sent. 3212/2016) che ha riconosciuto al dipendente – a seguito di una rapina in ufficio postale privo di sbarre alle finestre e con le telecamere fuori uso – il danno biologico e morale da disturbo post traumatico da stress.

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Ignoranza del funzionamento di un impianto: responsabile l’infermiere per i danni al paziente

Responsabilità in capo all’infermiere e non al medico in caso di ignoranza del funzionamento di un impianto.

Sulla base della considerazione che l’infermiere non è un “ausiliario del medico”, ma un “professionista sanitario” (che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, specie durante il decorso post operatorio dove è onerato di vigilare sul paziente ai fini di consentire, nel caso, l’intervento del medico), la Corte di Cassazione (sent. 2541/16) ha ritenuto che sullo stesso possa gravare una responsabilità di tipo omissivo riconducibile ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico.

Nel caso specifico, in occasione dell’installazione di un nuovo impianto di monitoraggio, era accaduto che l’impianto avesse allarmi sonori sospesi perché necessitanti di riattivazione manuale, con la conseguenza che ad una crisi di fibrillazione ventricolare che colpiva un paziente il personale non si allertava portando al paziente. L’infermiere, sottolinea la Corte, posto il graduale percorso di affermazione della professionalità del personale infermieristico, e della conseguente autonomia decisionale e organizzativa, assume specifico rilievo nell’ambito delle Unità di terapia intensiva cardiologica, in quanto le stesse sono caratterizzate da un’area di degenza dove si esercita una sorveglianza diretta e continua del paziente da parte del personale infermieristico in grado di intervenire autonomamente ed immediatamente alla comparsa di un’aritmia minacciosa; l’UTIC è caratterizzata, cioè, da personale che fa un training specifico e che non è mero esecutore, ma in qualche modo agisce da medico, essendo in grado di agire terapeuticamente in autonomia nell’immediatezza anche senza la presenza del medico.

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